Il giudice non ha capito la battuta di Bersani
A rileggere con attenzione le parole di Pier Luigi Bersani su Vannacci, è evidente che non abbia mai dato semplicemente del 'coglione' al generale. Provo a spiegarvi il perché
Ho abbastanza esperienza sul campo per poter affermare che la diffamazione è una materia molto, troppo fumosa, perché una qualsiasi causa penale o civile possa avere un esito certo. Tranne casi di un’evidenza clamorosa infatti, il tema è talmente soggettivo che dipende dall’interpretazione del giudice. E l’interpretazione del giudice dipende, appunto, dal giudice. Che è un essere umano, e che quindi decide arbitrariamente se qualcosa sia offensivo o no, se esiste la provocazione, se la lite sia solo una schermaglia, se la frase incriminata sia una battuta o se lui la capisce diversamente.
Le cause per diffamazione, infatti, sono la ragione per cui molti giornalisti smettono di fare i giornalisti. Abbandonando inchieste e critiche di alcun tipo o, in qualche caso, abbandonando direttamente la professione. Perché costano più di quanto un giornalista spesso guadagna in un anno e non sai mai come andranno a finire. Non sai mai chi sarà il giudice e che parametri di giudizio adotterà.
Anni fa fui querelata da Barbara D’Urso perché, di fronte agli scarsi applausi ricevuti dal pubblico in studio quando fece il suo ingresso a “Le invasioni barbariche”, su Twitter avevo scritto: "L'applauso del pubblico alla D'Urso ricordava più o meno quello alla bara di Priebke”. Era una battuta, credo non serva specificarlo. Lo credevo anche all’epoca. Non lo credette Barbarella che mi querelò affermando che avevo accostato la sua figura al criminale nazista. Ricordo anche che il suo avvocato disse anche che avevo giocato sottilmente sul gioco di parole “BARA/BAR-BARA”. Lo trovai geniale, perché io manco ci avevo pensato.
La denuncia non fu archiviata (sembrò al giudice tema di grande importanza) e ci fu il processo. Per la cronaca, caso vuole che il mio avvocato anni prima avesse difeso Priebke in non so quale causa, ma vabbè. Il giudice in primo grado mi condannò per diffamazione aggravata: pena di 700,00 euro di multa, oltre al risarcimento del danno di 5000 euro e alla rifusione delle spese legali sostenute da D’Urso. Il giudice, semplicemente, non capì la battuta. Disse che avevo paragonato D’Urso a Priebke. (che poi volendo, anche a non capire la battuta e a voler essere “letterali”, era l’APPLAUSO alla D’Urso paragonato a quello ALLA BARA di Priebke, ma vabbè). Poi i giudici in appello mi diedero ragione, fui assolta e non le diedi un euro, ma questo spiega bene quanto gli esiti di una querela per diffamazione siano spesso il lancio di una monetina.
Anni fa, Marco Travaglio, ospite di Fabio Fazio, si riferì a Schifani e all’ipotesi che potesse essere eletto, dicendo: «se dopo De Nicola, Pertini e Fanfani, ci ritroviamo con Schifani sono terrorizzato dal dopo: le uniche forme residue di vita sono il lombrico e la muffa. Anzi, la muffa no perché è molto utile».
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