La brutta figura di Angela Carini
Forse non erano i colpi di Imane Khelif a essere troppo forti, ma la sua paura di perdere.
C’è un passaggio nel libro che ho scritto sui Ferragnez in cui spiego come a un certo punto i due influencer si buttino sulla narrazione vittimistica (il Sanremo lacrimoso di Chiara ne è stato l’emblema) perchè comprendono che c’è solo un ruolo a funzionare più di quello del vincente: quello della vittima. Ecco, alle olimpiadi qualche atleta ha capito bene come funziona il mondo dei media e, soprattutto, cosa puoi fare quando ti accorgi di non essere la più forte: piangere.
Ha iniziato la judoka giapponese Uta Abe: la campionessa olimpica in carica era la grande favorita per la vittoria, ma è stata eliminata agli ottavi di finale dall'uzbeka Keldiyorova. Cosa fa a quel punto? China la testa affranta? Saluta dispiaciuta e tanti saluti? No, inizia a urlare come una pazza, si butta sul suo allenatore che la stringe e cerca di portarla via. Una scena francamente patetica. Intendiamoci, io capisco le pressioni, i sacrifici e le aspettative nello sport, ma anche la mente è parte dell’allenamento. Anche la gestione della sconfitta è parte fondamentale della tempra e della forza di un atleta. Fatto sta che la sceneggiata le ha fatto guadagnare titoli di giornali densi di compatimento e la luce che doveva illuminare l’uzbeka vincitrice è finita tutta su di lei. La vittima. La piccola, fragile judoka giapponese che crolla di fronte alla sconfitta, non “l’atleta favorita che di fronte alla delusione cocente di non essere di nuovo la prima classificata urla per la rabbia, togliendo la scena a quella più brava di lei”.
E ora veniamo ad Angela Carini, perché la vicenda non è poi così diversa, sebbene la consideri molto più grave.
Continua a leggere con una prova gratuita di 7 giorni
Iscriviti a Vale Tutto - di Selvaggia Lucarelli per continuare a leggere questo post e ottenere 7 giorni di accesso gratuito agli archivi completi dei post.