Salvini si crede Carlo Lucarelli
Il ministro dei trasporti dice che la nave “puntava verso l’Italia”. Tipo la nave da crociera di Speed 2, che distruggeva a tutta velocità un’intera città degli Stati Uniti. Questa e altre perle.
Mettiamo subito in pausa, non lasciamo che le parole ci distraggano dall’inquadratura. Matteo Salvini è ripreso frontalmente, leggermente dal basso, illuminato da una luce da interrogatorio americano. Sembra un misto tra la scena del Miglio Verde dove John Coffey va al patibolo e il video di Bohemian Rapsody dei Queen, e tu non sai se Salvini comincerà dicendo “Is this the real life?” oppure “Sono stanco capo”. Invece comincia dichiarando le sue generalità, “Matteo Salvini, 9 marzo 1973” come se stesse per varcare la soglia di San Vittore.
“Sono a processo e rischio il carcere perché in Parlamento la sinistra ha deciso che difendere i confini italiani è un reato”, al che uno si aspetta che il PM sia Elly Schlein e il giudice Fausto Bertinotti e invece no, a guardare bene, sono proprio due magistrati, che processo balzano. Difendere i confini italiani, poi, è bellissimo: chi si fosse svegliato oggi dopo un lungo coma etilico cominciato prima della Bossi-Fini, come in Good Bye Lenin, potrebbe pensare che Salvini abbia difeso le coste dai pirati del Corsaro Nero, da uno sbarco americano a Roccella Ionica in stile Normandia, oppure dalle navi di guerra nordcoreane. Spoiler: no, erano 147 disperati raccolti in mare da una nave che no, non aveva nemmeno dei cannoni a bordo. Stramba invasione. O forse erano tutti guerrieri Jedi e avrebbero messo a ferro e fuoco l’Italia con la forza del pensiero.
A questo punto, la colonna sonora da thriller si zittisce e l’immagine diventa completamente nera. Un nero lungo due secondi che aggiunge tensione, cupezza, per introdurre un flashback narrativo in cui Salvini ripercorre l’intera vicenda raccontandola come se fosse Carlo Lucarelli: nell’intonazione di “ma a Lampedusa non arriverà mai” si percepisce tutta l’influenza del maestro del noir italiano.
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