Tutto per una borsa
Quest'estate mio padre ha subito un furto, una storia molto triste. L'omicidio di Viareggio mi ha fatto pensare a lui e alla sua reazione mite. Perché in certi casi le cose, davvero, sono solo cose.
All'inizio dell’estate hanno derubato mio padre. Ne avevano parlato per giorni alcuni quotidiani del centro Italia, un po’ mi era dispiaciuto, avevo preferito non riprendere la notizia.
Ho ripensato a questa vicenda leggendo le parole di Matteo Salvini sulla signora che ha ucciso l’uomo che l’aveva derubata della sua borsa firmata, investendolo con la sua Mercedes bianca. Lui si chiamava Said Malkoun, 47 anni. Con dei precedenti, non aveva mai ucciso nessuno. La signora Cinzia Dal Pino, facoltosa titolare di uno stabilimento balneare viareggino, era incensurata.
Matteo Salvini ha scritto: “La morte di una persona è sempre una tragedia e la giustizia dovrà fare il proprio corso. Questo dramma, però, è la conseguenza di un crimine: se l’uomo che ha perso la vita non fosse stato un delinquente, non sarebbe finita così. Voi che ne pensate?”.
Un ministro ha chiesto davvero “voi che ne pensate?” come se fosse normale sollevare un dibattito sulla questione “se l’è meritato?”, “se l’è cercata?”. Come se potesse esserci una qualche proporzionalità tra il furto di una borsa e un suv che passa più volte sul corpo del ladro investito e lasciato poi a morire lì, sul selciato, mentre la donna recuperava la sua borsa griffata e ripartiva come se niente fosse.
Ho pensato a mio padre perchè quando abbiamo scoperto che lo avevano derubato, io e la mia famiglia ci siamo confrontati con qualcosa che non conoscevamo. Perlomeno io. Ero stata derubata più volte in passato. In tre occasioni i ladri erano entrati in casa mia, un’altra volta mi avevano rubato una borsa al bar. Però non ho mai saputo chi fosse stato. Questa volta sapevamo chi era.
Lo sapevamo perché era stato qualcuno che entrava in casa, con serenità. Gli sfilava il bancomat dal portafogli e andava a prelevare soldi nelle banche del paesino dove lui trascorre alcuni mesi l’anno, perché mio padre ingenuamente aveva appuntato il pin su un foglio.
In casa di mio padre entravano solo due persone, esclusi amici fidati e parenti. Una coppia, marito e moglie, che lo aiutava in alcune commissioni. Tutti e due italiani.
Una volta che mio padre si è accorto dei prelievi sospetti (mai sottovalutare l’occhio vigile di un genovese sulle finanze, pure se novantenne), abbiamo intuito subito tutto. Ci pareva solo un’ingenuità troppo grossa, visto che gli sportelli bancomat sono ovviamente ripresi da telecamere. E invece i colpevoli erano stati davvero ingenui: si erano fatti riprendere, senza nessuna precauzione. Neppure un cappello. Una basetta finta.
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