Un genitore vedovo
Comprendere la sofferenza di un genitore che è rimasto solo è complicato. Io sento di non avere alcuna funzione consolatoria e l'elaborazione del lutto di mio padre segue percorsi imprevedibili
Mia madre e mio padre sono stati insieme 56 anni. Come si dice in questi casi, “una vita”.
Si erano conosciuti il 2 febbraio del 1966 all’università di Genova, dove entrambi studiavano legge. Bastò una finestra aperta durante una lezione di non so quale materia, mio padre che passava di lì e notava una studentessa bellissima, per scrivere la storia del loro amore. Si guardarono e si innamorarono senza scampo, con l’urgenza di fare tutto in fretta: matrimonio, trasferimento a Civitavecchia e primo figlio arrivarono in tre anni.
Poi ebbero un matrimonio come tanti e come nessuno, in cui forti affinità nel campo degli interessi e distanze abissali sul piano emotivo sono state un terreno di guerra e di pace intermittente, faticoso. Il mio ricordo di bambina e poi di adolescente è quello della paura costante e spaventosa che si lasciassero, che mia madre fuggisse e sparisse nel nulla come minacciava sempre, che ogni giorno potesse scoppiare una nuova lite deflagrante con strascichi di mutismo ostinato per giorni.
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