Viaggio: Sarajevo e Mostar, fiori tra le macerie
Un'ispirazione (low budget) per un viaggio che sa di storia, dolore e rinascita. Quattro giorni con me e Lorenzo in Bosnia, un paese che non somiglia a nessun altro.
Su Sarajevo, durante i quattro anni di assedio, sono caduti in media più di trecentocinquanta tra missili e bombe ogni giorno, e si stima che non sia stato risparmiato neanche un-singolo-edificio in tutta la città. Lo Stari Most, il ponte da cui la città di Mostar prende il nome e la sua cartolina più famosa, è stato abbattuto dopo più di quattrocento anni di vita da cinquanta cannonate sparate da un carrarmato croato. Le facciate dei palazzi di entrambe le città sono ancora crivellate dai proiettili, dalle schegge delle granate, dai colpi dei cecchini, e sembra quasi che nessuno li voglia coprire, forse per la paura che una passata di intonaco possa cancellare la memoria di una delle pagine più buie della storia contemporanea.



Eppure i superstiti sono ancora vivi, chi aveva dieci anni durante l’assedio di Sarajevo oggi ne ha quaranta, chi lavava i panni nell’acqua del Neretva e non è stato raggiunto da un colpo alla testa oggi è ancora vivo, e probabilmente abita ancora in uno di questi due gioielli di urbanistica ottomana. Sarajevo e Mostar oggi sono due città meravigliose e affascinanti, piene di vita, di bazar, di gente seduta a bere caffè, di profumo di salsicce. Sembrano combinare quella compassatezza dell’Asia centrale con l’atmosfera allegra e caotica dei bazar turchi, eppure non somigliano a nessuna delle due mete. Sarà che siamo nei Balcani, sarà quella linea che che sulla Ferhadija, la via centrale di Sarajevo, sembra separare Vienna da Istanbul, sarà la freschezza dell’acqua del Neretva, il fiume che taglia in due Mostar. Fatto sta che la prima cosa che viene da pensare, entrando nel centro storico di una delle due città, è “non somiglia a nulla che abbia già visto”. E dopo aver visitato una cinquantina di paesi del mondo non c’è complimento più bello.



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Cosa abbiamo fatto:
Siamo atterrati a Mostar con un piccolo settantadue posti a turboelica di quelli con cui avevamo già volato in Nepal, quindi il trauma era già stato metabolizzato. Dopo trentacinque minuti dal decollo stavamo già sul piazzale dei taxi, con le valigie appresso e quella freschezza che solo il 39 gradi delle tre di pomeriggio del 28 luglio a Mostar sanno regalare. I dieci minuti di tragitto fino all’hotel sono in realtà un’unica strada dritta, che passa con impressionante rapidità da un panorama di vigneti pianeggianti ai bordi delle colline (e alcune cantine, come la Carski Vinogradi e la Podrumi Andrija, si possono visitare per degustazioni) all’ingresso della parte occidentale della città. Dieci euro, solo cash. Ecco, abbandonate il proposito di usare un granché la carta di credito in Bosnia, a parte negli hotel e in qualche negozio per spese più importanti. E poi c’era troppo poco tempo per entrare in polemica pure con i tassisti bosniaci.
Arrivati in hotel, spacchettamento rapido giusto per mettere un paio di ciabatte e correre verso la spiaggia appena a sud dello Stari Most, il ponte vecchio, perchè stava per cominciare l’annuale gara di tuffi dal ponte, una delle più fotografate del mondo. Questa era la 458esima edizione, nessun errore di battitura: la tradizione di buttarsi nel fiume saltando dal ponte alto cento metri è vecchia quanto il ponte stesso, e va avanti dal 17esimo secolo. Una birra al chiosco, immersi nell’acqua fredda come la Ferrarelle da frigorifero, in mezzo a centinaia di persone sparse un po’ ovunque ad assistere alla gara, cominciata con un’emozionante esibizione di una danzatrice sulle funi, sospesa nel vuoto, al suono dell’inno nazionale, una di quelle cose che ti fa sentire fiero di essere bosniaco anche se sei nato a Civitavecchia.



Dopo la seconda manche, quella dei tuffi ad angelo, ci accorgiamo che i giudici hanno la stessa larghezza di manica della giuria di Ballando con Iva Zanicchi e quindi andiamo a fare una passeggiata per le vie pedonali del centro, una specie di brulicante bazar imbottito di negozi di caffettiere, di dolci e di gente che cena alle cinque e mezza di pomeriggio. Dalla parte occidentale, che in guerra era quella sotto il controllo dei croati, la città vecchia si sviluppa essenzialmente attorno a tre vie che portano tutte al ponte, protetto dall’Unesco come tutti gli edifici nei suoi dintorni. Si passeggia un po’ lentamente, in alcuni punti si fatica a passare, nemmeno Mostar è al riparo dall’overtourism, ma la luce del tramonto rende ogni edificio di mattoni, di tende bianche, di legno e tappeti colorati una piccola cartolina, e allora andiamo a prendere un’aperitivo al Terasa, godendoci il calare del sole con la vista più bella della città, prima della cena da Sadravan. Per le attività culturali c’è ancora tutto domani. Ora la cosa più importante, prima di dormire, è recuperare la finale di Temptation Island.



La mattina successiva abbiamo cominciato con una passeggiata per la via pedonale che attraversa il centro del lato orientale della città, la Braće Fejića, meno affollata ma non meno affascinante dell’omologa occidentale. Due cimiteri cingono l’ingresso della via dal nostro hotel: nessuna lapide reca una data di morte successiva al 1994, e la grande moschea del Karadoz Bey sembra far veglia ai morti per mano dei loro vicini di casa, nella guerra fratricida per antonomasia, quella in Bosnia. Con lo stesso spirito abbiamo visitato il Museo delle vittime di Guerra e Genocidio, piccolo ma potente, incentrato, più che sulla storia, sulle storie: dei morti, dei vivi, dei sopravvissuti, e dei loro oggetti, di chi ancora da Srebrenica aspetta un cadavere su cui piangere, dopo quasi trent’anni. Il video del bombardamento del ponte di Mostar ti fa venire voglia di uscire e di abbracciarlo, almeno con lo sguardo, ed è ciò che abbiamo fatto bevendo un caffè panoramico al cafe Secerlok.



Abbiamo bellamente saltato le pur interessanti visite alla Moschea Koski Mehmed Pasha (7€, ma si può salire fino in cima al minareto per una vista incredibile) e alla Biscevic House, un’antica casa ottomana: la prima perchè Selvaggia c’era già stata, la seconda perchè avevamo caldo. E così, dopo un rapido attraversamento del ponte e un pranzo veloce, ci siamo tuffati di nuovo nelle acque della Neretva, stavolta presso la poco battuta spiaggetta Mejdan. L’acqua è cristallina e gelida, Selvaggia ha tentato l’ibernazione per emulare Mel Gibson in Forever Young, rimanendo immersa fino al collo per un’ora, ma in generale si sta bene, c’è poca gente, e i trentotto gradi al sole fanno meno paura. Se non avessimo dovuto lavorare un po’ ci saremmo fermati più a lungo, invece siamo tornati in hotel per uscire verso il tramonto e passeggiare verso nord, attraversando isolati di palazzi crivellati dai colpi, per andare a vedere da dove alcuni quei colpi arrivavano: lo Sniper Building, un edificio a sette piani che durante l’assedio era il punto prediletto dai cecchini croati e ora, abbandonato a se stesso, è un ricettacolo di murales. Nel parco Zrinjevac non c’è più la statua dedicata a Bruce Lee, ma ci sono locali pieni di famiglie allegre, un parco giochi e un cinema all’aperto, e pure la "Stara" sveučilišna knjižnica, una biblioteca distrutta dai bombardamenti, di cui è diventata uno dei simboli. Un’ultima passeggiata nella città vecchia, una cena all’hotel Kriva Cuprija sull’omonimo (e seicentesco) ‘Ponte Storto’, le luci dei locali accese sul fiume, una cover band poco più avanti che suona ‘Here i go again’ dei Whitesnake. Non c’era più posto per tutta questa bellezza, e allora ce ne siamo andati a letto. Il giorno dopo ci aspettava Sarajevo.



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Il pullman per Sarajevo ci mette due ore e fa due fermate di cui una a Konjic, una cittadina nota per il rafting ma soprattutto per il bunker di Tito, un rifugio a prova di attacco nucleare fatto costruire dal Generale comunista tra il 1953 e il 1979. È una delle attrazioni turistiche più celebri del paese, ospita una mostra permanente di arte contemporanea e tutti gli arredi originali dell’epoca. Noi non siamo riusciti a fermarci, ma con una mezza giornata in più a disposizione l’avremmo visitato volentieri (In quel caso si possono acquistare due biglietti diversi, uno da Mostar a Konjic e uno da Konjic a Sarajevo o viceversa). Alla stazione dei bus di Sarajevo ci sono molti taxi pronti per gli accorrenti, e uno di questi ci ha portato al nostro hotel, proprio di fronte al Ponte Latino davanti al quale, nel 1914, l’assassinio del principe Francesco Ferdinando ha fatto precipitare l’Europa, e poi il resto del pianeta, nella prima guerra mondiale. Un calco di bronzo segna il punto esatto da cui Gavrilo Princip ha sparato i suoi colpi, e con un euro si può fare una foto sulla replica dell’auto di Franz Ferdinand, ma ci sembrava un po’ la stessa cosa della foto con Prezzemolo a Gardaland e allora abbiamo tirato oltre.



Un rapido giro della Baščaršija, la zona ‘ottomana’ della città che si sviluppa attorno all’omonima, iconica piazza in cui bar e botteghe sono vivi dall’alba a ben dopo il tramonto, un pasticcino da Poričanin, una delle pekara (panetterie) più famose della città, e il ritorno in hotel per lavorare ma, soprattutto, per prepararci alla cena di compleanno di Selvaggia da Dveri, un ristorante incantevole dove ci hanno un po’ insultato in bosniaco per il ritardo mostruoso ma dove poi ci hanno trattato molto bene, tra fiori e bicchieri di rakija. Una passeggiata alle undici di sera e una alle undici di mattina a Sarajevo non sono poi così diverse, le vie del centro sono piene e nessuno sembra aver voglia di andarsene a letto. Noi, dopo un po’, sì.



Sveglia, un caffè con i gatti alla Teahouse Dzirlo e un giro tra le botteghe antiche di Kovaci, una via da cartolina in discesa verso la Baščaršija, che percorsa in salita porta invece al Bastione Giallo, uno dei punti più suggestivi da cui ammirare il tramonto. Però è mattina e quindi, dopo un giro nella pittoresca via-bazar di Kazandziluk e una torta alle patate alla Buregdžinica Bosna, passiamo dalla maestosa Biblioteca Nazionale, perfettamente ricostruita dopo l’assedio, per raggiungere la stazione della cabinovia che ci porterà in cima alla ‘montagna olimpica’, il monte Trebević. Lì, oltre alla vista più bella sulla valle della città, c’è ancora la leggendaria pista da bob delle Olimpiadi Invernali del 1984, e così mentre a Parigi si celebrano quelle odierne, a quarant’anni di distanza, noi scendiamo a piedi per la pista di cemento che ora è luogo di graffiti e di passeggiate fuoriporta. Arrivati a metà, invece di scendere a piedi per tornare in città (una passeggiata di un’oretta) decidiamo di virare a ovest e di fermarci per un caffè all’hotel montano Pino, prima di chiamare un taxi per tornare a valle.






Ci aspetta un pranzo da Inat Kuca, uno straordinario ristorante di cui vi diremo più avanti, e un lungo giro per le vie della città. Da vedere -la moschea Gazi Husrev-Beg e gli edifici di fronte, con lo stesso nome, tra cui un museo e una biblioteca. -la piazza della moschea di Ferhadija, dove i caffè sono affacciati sulle tombe di un cimitero, in una specie di ossimoro fatto di allegria e di ricordo della guerra. -Il Bezistan Market, una galleria di pietra piena di negozi (purtroppo per la maggior parte di borse false) a ridosso delle antiche rovine di un caravanserraglio ottomano. -La Galleria 11/07/95, un toccante museo fotografico sull’assedio e sulla strage di Srebrenica. -La graziosa piazza della Cattedrale del Sacro Cuore. - La Fiamma eterna, che arde in eterno all’incrocio delle due vie principali per ricordare le vittime della seconda guerra mondiale. -Il Pijaca Markale food market, che ora è tutto frutta e verdura ma che fu teatro di uno dei massacri più cruenti dell’assedio. Ma in generale, da vedere, c’è una città che mette fame di vita, di vedere, di ricordare e di camminare. Le guide più banali suggeriscono sempre di ‘perdersi tra le vie di una città’ ma è una cagata, perchè rischi di non vedere le cose più importanti. A Sarajevo, invece, che è piccina ma piena di bellezza, di memoria o di entrambe, probabilmente non c’è consiglio migliore.






(Solo non perdetevi il Tunnel di Sarajevo, presso l’aeroporto. Da lì passavano le provviste per la città assediata. Da lì, meglio che da ogni altro posto, si può capire la storia di questa città, di questo popolo, e della loro resistenza sovrumana).
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Dormire:
SARAJEVO
Noi abbiamo alloggiato all’Isa Begov Hamam Hotel, una struttura inserita in un complesso molto suggestivo con una moschea e, appunto, un magnifico bagno turco di fine ottocento. La nostra camera era molto spaziosa, con un bagno enorme e un letto di legno intarsiato. Si può usare il bagno turco, ovviamente, e c’è un ricco menu SPA a prezzi molto onesti. È esattamente di fronte al Ponte Latino, quindi la parte ‘araba’ della città si raggiunge in meno di due minuti a piedi, e poco più per quella occidentale. Lo consigliamo senza riserve. Ci è piaciuto molto, per posizione e aspetto, anche l’Hotel Lula, proprio dietro piazza Baščaršija. Ha buone recensioni e una posizione incredibile, ma più di questo non sapremmo aggiungere. Selvaggia ha buoni ricordi dal suo soggiorno passato dell’hotel Colors Inn, che è molto moderno ma ha una posizione un po’ più defilata (che comunque, date le dimensioni estremamente contenute della città, è un fatto abbastanza relativo) mentre Lorenzo, in fase di prenotazione, aveva valutato anche l’Hotel Ovo Malo Duse, con arredi viennesi e a cui si accede tramite un caffè, appunto, viennese, nel cuore del quartiere ‘arabo).
MOSTAR
Noi abbiamo dormito presso il Bosnian National Monument Muslibegovic House, che come capirete dal titolo è un hotel sito all’interno di una casa ottomana del ‘700, dichiarata monumento nazionale. Si respira storia, ma anche confort, i cortili sono estremamente suggestivi e le camere, per quanto un po’ piccine, sono belle e fresche. Ogni mattina alle 10 si può prendere parte a una visita guidata dell’hotel museo, che contiene decori di pregio e la storia della famiglia Muslibegovic, notabili dell’epoca. L’hotel è a un minuto a piedi dalla via pedonale della parte orientale della città, più tranquilla dell’omologa occidentale, con un sacco di bar e ristoranti vista fiume e il Ponte Vecchio (Stari Most) a non più di dieci minuti dall’hotel a piedi. Ci torneremmo senza’altro, anche se in partenza la nostra prima scelta era un’altra. Avremmo voluto prenotare l’Hotel Kriva Cuprija, una bellissima struttura di pietra nel cuore delle affollate viuzze pedonali della parte occidentale della città, patrimonio Unesco, e affacciata sul più antico ponte di Mostar (l’omonimo Kriva Curpija, costruito nel 1558). Ha camere moderne e, sembrerebbe, più spaziose, ma in quei giorni era pieno. Se la vostra scelta dovesse ricadere su questo, prenotate per tempo. La città è comunque piena di strutture carine a qualsiasi fascia di prezzo, anche nel centro storico.



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Mangiare e bere: speriamo vi piacciano le polpette alla griglia. Perché sono ovunque, sempre, e sono alla base della piramide alimentare bosniaca. Si chiamano ćevapčići (ovvero ‘piccoli kebab’) e sono dei cilindretti di carne macinata di agnello e manzo cotti alla brace, generalmente, e generalmente serviti con il somun, il pane locale. Ogni locale denominato Ćevabdžinica è un posto specializzato in carne alla griglia, e ce ne sono più che pizzerie a Napoli. La carne fa parte anche degli stufati tradizionali, delle cotture in terracotta, è all’interno delle verdure ripiene, degli involtini in foglia di vite e pure del Burek, la celeberrima torta salata ‘a spirale’. Se non è carne è pesce, soprattutto d’acqua dolce, trota, e molto spesso calamari. Questo per dire che, se siete a caccia di cucina tradizionale ma al contempo vi trovate a essere vegetariani o vegani, forse la Bosnia non è esattamente il vostro posto. Detto questo, spulciando un po’ tra i menù, online e fisici, e prestando un po’ d’attenzione è possibile mettere insieme quattro giorni di mangiate senza carne, che poi è quello che abbiamo fatto noi. Da bere, tra vini da varietà autoctone e rakija, il distillato locale di frutta, per non parlare del tradizionale caffè preparato nel cezve, c’è l’imbarazzo della scelta. Ecco dove.






MOSTAR:
-Sadravan è il ristorante più famoso, e quello con il menù più vasto. È sull’incrocio principale della città vecchia e ha sale azzurre all’interno, mentre all’esterno si mangia tra fontane e fronde che tengono al fresco. Mette d’accordo un po’ tutti, visto che ha un decente menù vegetariano con sette o otto opzioni, tra cui le ‘pilav’ tagliatelle, una pasta locale, e il Duvec, il famoso e saporito stufato di verdure. Per il resto, fiumi di carne e pesce senza soluzione di continuità, servite in piatti di metallo enormi e coreografici. Meglio prenotare. Abbiamo pranzato anche da Food House Mostar, un posto molto carino nel centro storico ma più al riparo dalla folla. Hanno tutti i classici della cucina locale, più una decina di opzioni vegetariane e vegane di livello, come hamburger, falafel, shakshuka e imam bayildi, una sorta di melanzana ripiena con delle patate al forno stratosferiche. L’hotel più famoso di Mostar, il Kriva Cupraja, ha anche un ristorante di alto livello, con tovaglie bianche e una bella vista sul ponte cinquecentesco. C’è un po’ di tutto, pesce alla griglia ma anche formaggio fritto, menu vegetariani e pizze che, dall’aspetto, non sembravano niente male.
Altri ristoranti molto famosi, che avevamo valutato, sono il Tima Irma, una specie di istituzione locale, lo Hindin Han e lo URBAN Taste of Orient. Oltre al Divan, uno dei posti più fotografati del paese con le sue terrazze che degradano sul fiumiciattolo che confluisce nel più grande fiume Neretva. Solo che il fiumiciattolo non ha un’odore molto gradevole e quindi meglio stare un po’ più in alto, nel caso.
-Bere qualcosa: un drink al Terasa per la vista più spettacolare sullo Stari Most, sulla città vecchia, sul fiume e sul tramonto. Un caffè al Cafe Alma, che tosta i propri chicchi e serve il miglior caffè bosniaco (quello che in Turchia è turco, che in Arabia è arabo…) della città. Un calice di vino locale, prodotto nelle vigne a dieci minuti dal centro, da The Spirit of Herzegovina, seduti sui gradini ad osservare l’incessante andirivieni di turisti che attraversano il ponte a qualsiasi ora del giorno e della notte. Una birra al Karma, da cui potete scendere sulla spiaggetta a sud del ponte e farvi un bagno nell’acqua ghiacciata, come abbiamo fatto noi.



SARAJEVO:
-Abbiamo cenato da Dveri, un posticino incantevole arredato come una vecchia casetta bosniaca di montagna, dove il piatto da non perdere è assolutamente il pane sfogliato che sembra una torta di rose, con cui accompagnare una saporita Ajvar, la salsa di peperoni nazionale, e magari qualche peperone fritto ripieno di formaggio. Abbiamo cenato anche da Konoba Luka, il ristorante di pesce più famoso della città, con un dehor tutto fiori e lucine e una tagliatella (quella verde, bosniaca, mica italiana) alle cozze davvero speciale. Abbiamo pranzato da Falafel, in un vicolino molto pittoresco e seduti sui tavoli della Birreria di fronte, così da poter accompagnare una saporita pita ai falafel con una birra artigianale. Ma soprattutto abbiamo pranzato da Inat Kuca, la ‘casa dell’ostinazione’. Un’edificio che, fino alla fine dell’ottocento, si trovava sulla sponda opposta del fiume e che avrebbe dovuto essere abbattuto per far spazio alla ‘nuova’ biblioteca. Il proprietario dell’epoca, secondo la storia e la leggenda, si oppose all’abbattimento a tal punto che ottenne che la casetta a due piani venisse smontata e ricostruita mattone per mattone dal lato opposto del corso d’acqua. È un posto magico, con arredi ottomani, nicchie di legno e un’atmosfera unica. Il menù è ristretto, ma le ‘torte salate’ vengono preparate al momento, lo stufato di verdura con riso è saporito e la polenta al formaggio è una bomba atomica, in tutti i sensi. Per un borek al volo, o una delle sue tante versioni vegetariane (sirnica, col formaggio, krompiruša, con le patate, zeljanica, con gli spinaci, o tikvenjača, con la zucca) preparatevi a pranzare con un euro e mezzo da Buregdžinica Bosna, aperto dagli anni ’50).
Altri ristoranti storici o particolari che avevamo valutato sono il Aščinica Hadžibajrić F. Namika, un buco nel muro tutto legno e stufati tradizionali, il Nanina Kuhinja, che come da nome serve ‘cucina della nonna’, il Karuzo, pioniere della cucina vegetariana italo-bosniaca, e The Singing Nettle, con un intero menù a base di ortica.
-Bere qualcosa: un tè all’incantevole Teahouse Džirlo, affacciata su una via pittoresca davanti alle botteghe degli artigiani del rame, e con qualche simpatico gatto a tenervi compagnia. Una birra da Zlatna Ribica, un indescrivibile accumulo di oggetti d’epoca e cartoline dei visitatori. Un caffè ai giardini Mejdan, oppure all’interno di un’antica corte piena di tappeti e meraviglie ottomane presso il Caffe Divan.



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Logistica:
MOSTAR. La compagnia aerea Skyalps vola a Mostar con degli affidabili aerei a turboelica da 72 posti (come quello che abbiamo preso noi) partendo da (o arrivando a, al ritorno) Verona, Roma e Bari, ma potrebbe aggiungere o togliere tratte. La Luxair vola con gli stessi aerei da e per Palermo. Volare su Mostar è molto comodo perchè è un minuscolo e organizzato aeroporto a 10 minuti dal centro della città, l’attesa dei bagagli è nulla e complessivamente il tempo del viaggio si riduce di molto. Per Mostar ci sono pullman da e per Sarajevo (più o meno uno all’ora, il biglietto costa sui 13 euro e si può acquistare sul sito della compagnia, facendovi aiutare da un locale però visto che la pagina di pagamento è solo in bosniaco: www.buskarta.ba) che seguono un tragitto molto scenografico, tra fiumi, laghi e montagne verdi almeno quanto quelle di Marcella Bella. Ci sono anche due treni al giorno che collegano le due città, ma gli orari non sono molto comodi e in ogni caso noi non l’abbiamo preso.
SARAJEVO: dall’Italia si vola con Ryanair a prezzi abbastanza stracciati, ma solo da e per Milano Orio al Serio, al momento. L’aeroporto è a 20 minuti dal centro e si raggiunge con 10 euro di taxi (o con mezzi pubblici di cui però non abbiamo usufruito). È un aeroporto moderno e pulito ma senza grandi soluzioni per rilassarsi in loco, a parte due lounge (una da 50 euro, una da 25, in entrambe è compreso l’ingresso fast track ai controlli) quindi vi consigliamo di arrivare mangiati, come si dice. Mettete in conto un po’ di coda ai controlli di sicurezza, o acquistate un pass per il fast track online (non si può pagare in loco ma solo attraverso il sito: l’indirizzo esatto è https://www.sarajevo-airport.ba/Shop).
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Prezzi: un viaggio che può essere dall’economico al molto economico, in base alle scelte. Per il volo abbiamo speso circa 200 euro a testa tra andata e ritorno, ma viaggiavamo con bagaglio, viceversa avremmo speso forse la metà. Gli hotel ci sono costati 120 a notte a Mostar e 160 a Sarajevo, ma era luglio e erano tra i più costosi delle rispettive città, in un periodo diverso si trovano opzioni di charme a partire da 40€ a notte a camera e anche soluzioni più economiche. Nei ristoranti più costosi non abbiamo mai speso più di 40 euro a testa, con 25 di media per la fascia alta, meno di 15 per quella media, ma si pranza comodamente anche con un borek a un euro e mezzo. I taxi a Sarajevo costano pochissimo, una corsa di una decina di minuti si attesta sui tre euro, ma in generale in entrambe le città si può tranquillamente girare a piedi senza bisogno di mezzi. L’unica cosa relativamente cara è la funivia per la montagna olimpica, che costa venti euro andata e ritorno. Ma per la gloria olimpica questo e altro.
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Nota a margine: nessuna delle strutture alberghiere, ristoranti, compagnie aeree o altro ha sponsorizzato questo viaggio. Sono solo dei consigli, senza supplied o adv.
Cara Selvaggia (e Lorenzo), ho fatto questo viaggio qualche anno fa insieme ad un gruppo di amici. Oltre alla bellezza e l’unicità dei luoghi, quello che ci ha colpito moltissimo è stato il calore delle persone. Ci siamo sentiti veramente accolti, nonostante fossimo solo semplici turisti. Ricorderò per sempre la signora, presumibilmente proprietaria del locale in cui cenammo a Mostar, che ci accolse con una gentilezza incredibile, ci raccontò della guerra, della città distrutta con le lacrime agli occhi e ci disse che fortunatamente, anche grazie al turismo, adesso le cose andavano bene. Quando la salutammo lasciandole una piccola mancia per ringraziarla dell’impeccabile servizio e per la bontà delle pietanze, ci rincorse con un sacchetto pieno di birre per ringraziarci. Ci siamo sentiti sempre accolti, sempre a casa. Porterò quel viaggio sempre nel cuore, spero voi abbiate provato lo stesso ❤️
Fantastico. Questo me lo salvo come guida per un prossimo viaggio. Grazie ❤️
E poi da croato quale sono devo per forza visitarlo.