Lo scorso marzo U-Power, la ditta di abbigliamento da lavoro di cui Diletta Leotta è testimonial (e curiosamente la stessa ditta delle scarpe di John Travolta a Sanremo che costarono alla Rai una multa da 206.000 euro per ‘pubblicità occulta’), ha lanciato in tv e sui social un nuovo spot pubblicitario. Il video, che doveva pubblicizzare una nuova scarpa ultra-leggera, si apriva con l’inquadratura di spalle un bambino sotto al palco dove si stava esibendo una cantante con una minigonna inguinale, passando poi a un inquadratura del volto del bambino con lo sguardo verso l’alto (sotto la gonna della cantante, perlomeno questo era ciò che lo spot faceva capire) e bocca aperta in una specie di estasi da visione della Madonna. La voce di Diletta Leotta, che accompagna lo spot, diceva: “la prima volta che sei rimasto senza parole”. In pratica, veniva rappresentata la prima volta che un bambino, che nella pubblicità aveva un’età scenica al massimo 8 anni, vedeva le mutande di una donna. Io ne scrissi nelle mie storie instagram il 24 marzo, trovando triste la rappresentazione di un minore in una situazione di tale ambiguità per vendere un paio di scarpe. La stampa seguì un paio di giorni dopo, ma poi non se ne seppe più nulla.
Fino a tre giorni fa. Quando il giurì dell’IAP, l’istituto della autodisciplina pubblicitaria, si è pronunciato a riguardo dello spot, che era stato messo in discussione dal Comitato di Controllo dello stesso istituto e su cui era stato aperto quindi un procedimento. Ebbene, quel procedimento è stato chiuso il 9 maggio, quando «Il Giurì, esaminati gli atti e sentite le parti, dichiara che la pubblicità esaminata è in contrasto con l’art. 11, ultimo comma, del Codice e ne ordina la cessazione.». Insomma, lo spot è stato sospeso, non può più essere trasmesso, in quanto in contrasto con l’ultimo comma dell’articolo 11 del Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale.
E cosa dice l’ultimo comma dell’articolo 11? Semplicemente questo: Sono vietate rappresentazioni di comportamenti o di atteggiamenti improntati alla sessualizzazione dei bambini, o dei soggetti che appaiano tali.
Forse è arrivato quel momento in cui Diletta Leotta e l’azienda citata (forse) faranno qualche riflessione sull’opportunità di continuare a proporre spot in cui la sessualizzazione della donna (e ora anche di un bambino) sono il fulcro della narrazione. Davvero triste.
Io mi chiedo sempre dove sia andato a finire il buonsenso...Ma ci voleva un "organo di competenza" per far capire che era una pubblicità a dir poco stucchevole? Ma queste aziende che tipo di pubblicitari hanno? E chi si presta possibile non abbia un po' di etica, di buon gusto ecc...Possibile che per il Dio denaro tutti i più semplici valori debbano essere calpestati? Come dici tu: ma io boh?
È triste constatare che alcuni personaggi non abbiano un rigore morale tale da rinunciare a lavori del genere.